Panorama dei trattamenti delle Epilessie più problematiche, le farmacoresistenti.

Con oltre 60 milioni di persone colpite nel mondo, l’Epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’Epilessia come una malattia sociale. Si stima che nei Paesi industrializzati interessi circa 1 persona su 100: in Italia soffrono di Epilessia circa 600.000 persone, ben 6 milioni in Europa. Nei Paesi a reddito elevato, l’incidenza dell’Epilessia presenta due picchi, rispettivamente nel primo anno di vita e dopo i 75 anni: in Italia si calcola che ogni anno si verifichino 86 nuovi casi di Epilessia nel primo anno di vita, 20-30 nell’età giovanile/adulta e 180 dopo i 75 anni.
Purtroppo una percentuale di persone con Epilessia continua ad avere crisi, pur avendo provato “almeno due farmaci specifici per il suo tipo di Epilessia, ben tollerati, somministrati alla massima dose possibile e per un adeguato periodo di tempo, in monoterapia o in associazione con altri farmaci”.

Tale condizione, denominata farmacoresistenza, non è definitiva né irreversibile. In alcuni casi, infatti, può essere avviato un iter per valutare la fattibilità e l’indicazione a un intervento chirurgico o, laddove questo non fosse possibile, esistono terapie alternative, che includono la
Stimolazione Vagale, la “Deep Brain Stimulation” e la dieta chetogenica.
E’ pertanto consigliabile che le persone con Epilessia, il cui trattamento risulti difficoltoso, vengano valutate presso centri specializzati.
La terapia chirurgica delle Epilessie consiste nella rimozione, quando è possibile senza indurre deficit neurologici, della regione cerebrale responsabile delle crisi, definita Zona Epilettogena. Si stima che almeno il 15-20% dei soggetti farmacoresistenti possa trovare beneficio, grazie a un intervento neurochirurgico specificamente mirato, e circa il 70% dei pazienti operati ottiene un ottimo risultato in termini di risoluzione delle crisi e, quindi, di qualità di vita: l’assenza di crisi consente di valutare in un secondo tempo di ridurre e sospendere la terapia farmacologica.

I dati ottenuti dalle indagini neurofisiologiche di routine (EEG e Video-EEG), dallo studio del tipo di crisi (caratteristiche cliniche) e dalle Neuroimmagini (RM), consentono di identificare con precisione la Zona Epilettogena. Più raramente, occorrono indagini più sofisticate come l’impianto di elettrodi all’interno del cervello per registrare le crisi (Stereo-EEG). Le procedure chirurgiche
presentano rischi molto bassi (intorno all’1%).

Gli altri trattamenti terapeutici

Per le persone con Epilessia farmacoresistente, che non possono essere operate perché le crisi trovano origine da più zone del cervello o perché l’intervento potrebbe causare danni neurologici rilevanti e permanenti, è possibile ricorrere a terapie palliative, che possono ridurre frequenza e intensità delle crisi, e magari alleggerire la terapia con i farmaci, come la Stimolazione Vagale, la “Deep Brain Stimulation” (DBS), e la dieta chetogenica, come già detto.

La stimolazione vagale consiste nell’invio al nervo vago di stimoli elettrici, tramite un generatore di impulsi posizionato sottocute a livello della clavicola, attraverso un elettrodo applicato chirurgicamente: tale stimolazione può ridurre la frequenza delle crisi e quindi garantire un
miglioramento della qualità di vita.

Altre tecniche di neurostimolazione e “Deep Brain Stimulation” (DBS o stimolazione profonda cerebrale) sono state messe a punto e consentono la possibilità di stimolare direttamente, tramite elettrodi impiantati in regioni cerebrali diverse, alcune aree cerebrali, modificandone l’attività epilettica. Tali tecniche, eseguibili solo presso Centri altamente specializzati, sono ad oggi riservate a soggetti farmacoresistenti selezionati.

La dieta chetogenica: già partire dal secolo scorso, si è iniziato a osservare che il digiuno ha un effetto «sedativo» nei confronti delle crisi epilettiche. È nata così, nel tempo, l’idea di ricorrere alla dieta chetogenica come opzione terapeutica per le crisi farmacoresistenti.  Alla base del meccanismo d’azione dello schema alimentare nell’epilessia, sembrano esserci i corpi chetonici prodotti per sopperire alla mancanza di glucosio. Il meccanismo d’azione vero e proprio resta però ancora parzialmente sconosciuto. Con questa dieta si obbliga l’organismo a utilizzare i grassi invece del glucosio come fonte di energia, mantenendo deliberatamente elevato lo sviluppo di corpi chetonici. Questo regime alimentare va seguito sotto la supervisione di un epilettologo e di un dietista, non essendo esente da effetti collaterali.