Come il Covid-19 ha cambiato l’assistenza ai pazienti: la testimonianza dell’Ospedale Universitario Santi Paolo e Carlo di Milano
Come è cambiata l’assistenza ospedaliera durante il Covid-19? E quali lezioni possono essere apprese da questa pandemia?
L’argomento è stato approfondito in uno studio presentato da diversi medici dell’Ospedale Universitario Santi Paolo e Carlo di Milano, in un’area che è stata tra le più duramente colpite dal Covid-19.
Lo studio descrive brevemente i cambiamenti organizzativi sanitari regionali della Lombardia legati al Covid-19 e la riorganizzazione generale dell’ospedale. Fornisce, inoltre, anche un rapporto multidisciplinare dei principali risultati clinici, radiologici e patologici Covid-19 che sono stati osservati nei pazienti.
I cambiamenti all’assistenza ospedaliera in seguito allo scoppio della pandemia
Per affrontare l’urgente bisogno di medici, l’ospedale Universitario Santi Paolo e Carlo ha assegnato tutti i medici a “squadre Covid”. Ognuno di essi comprendeva uno specialista in malattie infettive (ID), medicina respiratoria, medicina interna e altre specialità (tra cui oftalmologia, patologia, chirurgia maxillofacciale, orecchio-naso-gola, neurologia, chirurgia generale, ginecologia, chirurgia ortopedica e urologia).
Gli specialisti del Covid hanno avuto il compito di addestrare altri medici a trattare i pazienti da soli, nell’eventualità che la situazione epidemiologica peggiorasse o che alcuni medici si ammalassero.
Per assistere i pazienti con malattie acute (malattie cardiovascolari, ictus, oncologia e chirurgia) la Lombardia ha istituito un sistema medico con 13 ospedali centrali (Hubs) e 42 ospedali periferici (Spokes). Questi ospedali hanno creato una rete territoriale e protocolli condivisi per garantire ambienti medici appropriati e tempestivi e assicurare la sicurezza dei pazienti.
La direzione dell’ospedale, inoltre, ha ideato procedure specifiche e ha reso i dispositivi di protezione individuale (DPI) di routine in tutti i reparti. Mantenere il reparto in funzione significava attuare misure preventive, istruendo i pazienti sull’importanza dell’autocura (ad esempio, indossare una maschera, lavarsi le mani).
Soltanto i pazienti potevano accedere ai reparti (no parenti, no visitatori) dopo il rilevamento della temperatura corporea e indossando i dispositivi di protezione personale (guanti e mascherine). Una direttiva che, in un ambiente delicato come la psichiatria, non poteva non interferire con la relazione terapeutica.
Come è cambiata l’assistenza ai pazienti con epilessia durante la pandemia
L’unità di neuropsichiatria pediatrica e il centro per l’epilessia hanno mantenuto solo le visite urgenti. I restanti ambulatori sono passati alla telemedicina.
Probabilmente perché la quarantena ha ridotto i fattori di stress esterni con una minore accessibilità alle droghe ricreative e una vita familiare forzata, gli episodi di scompenso negli adolescenti con diagnosi psichiatriche sono diminuiti.
Tuttavia, l‘isolamento in alcuni pazienti ha aumentato i comportamenti di dipendenza dai videogiochi. Inoltre, l’isolamento sociale ha cambiato le routine quotidiane, soprattutto nei bambini.
Tra le misure intese a ridurre la diffusione del virus, la maggior parte delle scuole chiuse, cancellarono le lezioni e si spostarono verso l’apprendimento a domicilio o online per incoraggiare e aderire alle linee guida di allontanamento sociale.
L’allontanamento dalle classi fisiche ha completamente stravolto la vita degli studenti e delle loro famiglie con implicazioni per la salute mentale dei bambini.
Se questi cambiamenti influenzeranno il cervello degli adolescenti in via di sviluppo rimane poco chiaro. Lo stress psicologico nella popolazione generale causato dalla chiusura potrebbe anche aver influenzato l’adolescente più fragile.
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